Articoli nella categoria Internazionale

Tunisia, un anno dopo

Intervista a Fathi Chamkhi di Attac Tunisia che spiega la normalizzazione imposta dal partito islamista al potere ma anche le potenzialità di una rivoluzione che non è finita

Fabio Ruggiero

A un anno dallo scoppio della rivoluzione tunisina, che ha portato alla caduta di Ben Ali, abbiamo intervistato Fathi Chamkhi che fa parte di Raid Attac della Tunisia e ora anche del Cadtm, associazione internazionale che sta portando avanti la battaglia per l’annullamento del debito.

Ad un anno dalla cacciata di Ben Alì si può fare un primo bilancio rispetto agli obbiettivi della rivoluzione? Quali sono stati i cambiamenti a tuo avviso più importanti e le istanze che invece non si sono ancora realizzate?

PROSEGUI LA LETTURA »

Grecia: una base politica

Tratto da umanità nova numero 36 – dicembre 20
Il testo che presentiamo ci è giunto già tradotto dai compagni di Atene con cui siamo in corrispondenza. Nonostante l’ottimo lavoro di traduzione fatto dai compagni diversi punti rimanevano criptici per il lettore italiano. Questo ha reso necessario l’introduzione di alcune note di spiegazione all’interno del testo da parte della Redazione, che spera di aver dato un’interpretazione precisa del testo.
La redazione di Umanità Nova

Una base politica
Tutto indica che ci troviamo ormai ad una svolta critica della storia e nessuno al momento può dire dove ci porterà. Tutti gli sforzi dei governanti e dei mass media di convincerci che il sistema borghese attuale non si trova sul punto di collassare sono sempre più vani. Il dibattito su come ottenere un cambiamento sociale, sia politico che economico si sviluppa sempre di più, dal Nord Africa e dal Mediterraneo orientale fino l’Australia e le metropoli dell Nord America. Un dibattito che si espande con termini vagamente progressisti, i quali hanno come riferimento una vasta gamma di posizioni, dall’approccio borghese-democratico del miglioramento del sistema esistente, alla rottura rivoluzionaria e la liberazione sociale. Comunque, si può dire che non vi sia solamente una crisi del sistema, ma che si stia intensificando ed espandendo la resistenza e il dibattito pubblico per un superamento radicale della crisi, cosa che crea in noi delle speranze.

PROSEGUI LA LETTURA »

Romania, il fronte orientale della crisi

Ancora proteste e scontri contro il governo a Bucarest, dove un migliaio di persone sono scese in piazza contro i provvedimenti di austerity varati dal governo A  Nella capitale i manifestanti hanno fronteggiato la polizia ed eretto barricate dando fuoco a edicole e cassonetti della spazzatura. Quelle di ieri nella capitale romena sono state le più violente manifestazioni dall’inizio della protesta giovedì scorso: solo ieri  oltre 50 manifestanti sono stati feriti  dalla repressione poliziesca e circa 40 fermati. Manifestazioni si sono tenute anche a Cluj, Timisoara e Iasi.

I manifestanti chiedono le dimissioni del primo ministro Emil Boc e del presidente Traian Basescu, ritenuti responsabili del drastico abbassamento del livello di vita a causa delle misure di risparmio e austerità adottate negli ultimi mesi.Tra queste l’aumento delle tasse e il taglio del 25% degli stipendi nel settore pubblico.   Le proteste erano iniziate giovedì quando Raed Arafat, funzionario del ministero della Sanità, si è dimesso perché contrario alle riforme sanitarie proposte del governo. Venerdì il presidente Traian Basescu ha ordinato di abolire la riforma, ma le proteste si sono ugualmente trasformate in manifestazioni anti-governative.

Cesare La Mantia, docente di storia e istituzioni dell’Europa centrale all’Ateneo di Trieste

Da Radio Onda d’Urto

La Romania scende in piazza

Fronte orientale – Privatizzazioni e tagli al welfare, dopo Bucarest scontri a Brasov e Timisoara. Le proteste dopo le dimissioni di Raed Arafat, viceministro della sanità. Polizia scatenata.

 di Gianluca Falco da Il Manifesto

In strada per difendersi dalle privatizzazioni selvagge o, se volete, per difendere gli ultimi brandelli dello stato sociale. La Romania è in gran fermento. Quattro giorni di proteste che non avranno avuto i grandi numeri della rivoluzione per eccellenza in questa enclave latina nei Balcani – quella dell’89 -, ma che sono state continue e che ancora ieri sera si facevano sentire. A Bucarest come a Brasov, a Timisoara come a Cluj e a Sibiu e cosi via in 10 judeti (le province) del paese. 15.000 persone per sfogare la rabbia contro il governo (coalizione di centro-destra appoggiata anche dalla minoranza magiara) e contro il presidente Basescu, la cui popolarità è in caduta libera. Stesso scenario che negli altri paesi d’Europa. La stagnazione economica che fa il gioco del Fmi, il prestito richiesto, i conseguenti tagli violenti e massicci per garantire la restituzione. Misure di austerity che hanno colpito insegnanti, dipendenti statali, pensionati, perfino quelli della rivoluzione dell’89 che si sono visti dimezzare da un giorno all’altro il contributo che lo stato gli riconosceva. Quelli che insomma già facevano una fatica matta ad arrivare a fine mese. Ma gli slogan dei manifestanti riguardavno anche la dilagante corruzione nel paese.

PROSEGUI LA LETTURA »