di M. Calamari – Nessuna via di scampo al demone mostrato a Defcon. Paranoia? Speculazioni tecniche? Poco importa: le backdoor hardware sono realizzabili

Roma – Peccato arrivare all’età di Cassandra ed ancora non essere mai riuscito a partecipare ad uno degli eventi storici sulla sicurezza e dintorni come Blackhat o Defcon. Ma la Rete offre molte possibilità di partecipazione differita che l’agosto aiuta a sfruttare, spigolando tra i soliti nugoli di segnalazioni fino a trovare qualcosa la cui lettura ti gratifichi. E Cassandra è stata particolarmente lieta di trovarne una che le ricorda tanto la sua giovinezza, quando non riuscì a convincere il babbo che quei risolini provenienti dal cavallo di legno potevano essere di cattivo auspicio.

Ricordandomi di alcuni anni passati nello sviluppo HW di un’azienda che con tutti i suoi difetti era un posto magnifico in cui lavorare, avevo sempre seguito con interesse il livello di intelligenza autonoma e di autoconfigurabilità che i personal computer andavano acquistando, chiedendomi perché che nessun malintenzionato riuscisse a farne uso come vettore di attacco.

Un vettore di attacco è la funzionalità principale che viene usata, anzi abusata, per condurre un attacco informatico.
Attacchi molto noti, come nel caso di Stuxnet, usano una o più debolezze di un sistema informatico per installare un rootkit, cioè un software malevolo che può agire con i massimi privilegi senza farsi rilevare dall’utente o da contromisure comuni come un antivirus.
Un rootkit moderno permette poi di installare un payload, di solito un malware, lui pure moderno e modulare, che può permettere qualsiasi attività, da una operazione di intercettazione telematica, la creazione di una botnet od un vero e proprio atto di cyberwar come appunto Stuxnet. Ma tutto questo era confinato (come se non bastasse) al mondo del software: quando possibile una bella reinstallazione permetteva di sradicare anche la più raffinata delle infezioni.
Ora non più…Dalle profondità del vostro hardware un nero tentacolo potrà risalire fino a voi ed impossessarsi della vostra anima elettronica. Esseri innominabili e deformi, che nemmeno Lovecraft avrebbe potuto immaginare, stanno per occhieggiare dietro le fenditure della ventola.

Raramente capita di veder bene impacchettato in una dozzina di pagine una quantità cosi rilevante e ben assortita di informazioni a supporto di un lavoro emozionante e quasi demoniaco come la proof-of-concept di un malware innovativo.
E molto opportunamente Jonathan Brossard, l’autore di questo lavoro presentato pochi giorni fa a Defcon 20 in quel di Las Vegas, l’ha battezzato Rakshasa, parola hindi che si traduce con “demone”.
Il seguito del titolo dice tutto: “Le backdoor hardware sono realizzabili”.

Non è qui il caso di accennare come un codice malevolo possa funzionare senza essere presente sul PC e su come possa disabilitare il bit di non esecuzione della memoria o togliere gli aggiornamenti del microcodice delle CPU: queste e ben altre delizie sono, all’uso cassandresco, riservate solo a chi avrà voglia di approfondire la notizia e magari di farne il punto di partenza per un nuovo interesse.

Giusto perché è agosto e si suda, la generosità di Cassandra si spingerà fino a fornirvi un meno accademico e più discorsivo punto di partenza come le slide dell’intervento di Brossard a Defcon.
Per tutti gli altri pigroni invece, solo fosche previsioni e profezie di disgrazie imminenti.

Cosa succederebbe se fosse possibile infettare così profondamente il vostro PC che nemmeno riformattare l’hard disk o addirittura sostituirlo interamente, riflashando anche il BIOS per sovrappiù, permettesse di sradicare l’infezione?
E quali possibilità aggiuntive queste tecniche fornirebbero ai creatori di malware, siano essi botnet per la produzione di spam, armi informatiche o raffinatissimi strumenti di intercettazione e tecnocontrollo?

Bene, via i condizionali: chiamatelo come volete, notizia tecnica, incubo, bollettino di guerra o paranoia, ma tutto questo da oggi è possibile.
Buona lettura.

Marco Calamari