Scritti da c.s.a. Kavarna

OWS: Occupy Everything

di PAOLO CARPIGNANO

Forse era nell’aria: l’aria di primavera dei paesi arabi, o l’aria della Puerta del Sol di Madrid, o del Rothchild Boulevard di Tel Aviv, tutti avvenimenti che presagivano un anno caldo a livello globale. Ma quando a New York è scoppiata Occupy Wall Street (la metafora della esplosione sembra moto più appropiata), si è avuta subito la sensazione che non si trattasse di una ventata di attivismo, di un altro episodio dell’ «anno della protesta» come lo ha definito Time magazine, ma di un avvenimento trasformatore, un «game changing», un cambiamento delle regole del gioco.
Non che nel contesto americano non ci fossero stati in quest’anno dei precedenti. Primo fra tutti, le grandi manifestazioni e l’assedio del Congresso dello stato del Winsconsin, nello scorso inverno. In quell’occasione si erano viste le prime crepe alla «risoluzione» neoliberale della grande crisi. Il governatore  Scott Walker, forte di una vittoria elettorale finanziata da interessi a livello nazionale che volevano fare del suo stato un test della politica repubblicana conservatrice, e sulla scia dei successi del movimento del Tea Party e delle vittorie repubblicane al Congresso, aveva proposto un progetto di riforme strutturali tutte incentrate sulla politica dei sacrifici e sulla responsabilità fiscale; in realtà un attacco diretto a quello che rimaneva delle organizzazioni sindacali fra i lavoratori del pubblico impiego i cui contratti venivano di fatto abrogati. La reazione fu tanto inaspettata quanto massiccia tanto da essere chiamata la Piazza Tharir americana. Ma per quanto importanti e significative, le lotte riguardavano dei temi sostanzialmente difensivi, sindacali. Alla fine tutte le energie si sono concentrate sulle elezioni locali nel tentativo in parte riuscito di revocare le elezioni di alcuni deputati e dello stesso governatore, tutte attività ancora all’interno del sistema elettorale.

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Tunisia, un anno dopo

Intervista a Fathi Chamkhi di Attac Tunisia che spiega la normalizzazione imposta dal partito islamista al potere ma anche le potenzialità di una rivoluzione che non è finita

Fabio Ruggiero

A un anno dallo scoppio della rivoluzione tunisina, che ha portato alla caduta di Ben Ali, abbiamo intervistato Fathi Chamkhi che fa parte di Raid Attac della Tunisia e ora anche del Cadtm, associazione internazionale che sta portando avanti la battaglia per l’annullamento del debito.

Ad un anno dalla cacciata di Ben Alì si può fare un primo bilancio rispetto agli obbiettivi della rivoluzione? Quali sono stati i cambiamenti a tuo avviso più importanti e le istanze che invece non si sono ancora realizzate?

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La lotta dei lavoratori della Fincantieri

La lotta dei lavoratori dei cantieri di Sestri Ponente e di Palermo in corso dallo scorso giugno (presentazione del Piano Bono), che è culminata con la recente occupazione dell’aeroporto di Genova da parte degli operai e che si sta svolgendo ancora in queste ore con scioperi e blocchi stradali, ha per ora ottenuto una convocazione a Roma. L’incontro con il Governo, rappresentato dal ministro Passera, non solo non ha dato risposte certe e garanzie alle migliaia di lavoratori in procinto di andare in cassa integrazione, tra i quali diverse centinaia (a Genova e Castellammare di Stabia), con la prospettiva di non poter tornare più al lavoro per la chiusura definitiva degli stabilimenti, ma non ha nemmeno rilanciato la proposta di una ripartizione dl lavoro tra cantieri (già praticata in passato senza problemi), che consentirebbe la sopravvivenza di quelli a rischio chiusura fino a nuove commesse. E ai dipendenti Fincantieri a rischio vanno aggiunti altrettanti lavoratori di ditte appaltatrici, che anzi in alcuni cantieri li superano per numero.

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Grecia: una base politica

Tratto da umanità nova numero 36 – dicembre 20
Il testo che presentiamo ci è giunto già tradotto dai compagni di Atene con cui siamo in corrispondenza. Nonostante l’ottimo lavoro di traduzione fatto dai compagni diversi punti rimanevano criptici per il lettore italiano. Questo ha reso necessario l’introduzione di alcune note di spiegazione all’interno del testo da parte della Redazione, che spera di aver dato un’interpretazione precisa del testo.
La redazione di Umanità Nova

Una base politica
Tutto indica che ci troviamo ormai ad una svolta critica della storia e nessuno al momento può dire dove ci porterà. Tutti gli sforzi dei governanti e dei mass media di convincerci che il sistema borghese attuale non si trova sul punto di collassare sono sempre più vani. Il dibattito su come ottenere un cambiamento sociale, sia politico che economico si sviluppa sempre di più, dal Nord Africa e dal Mediterraneo orientale fino l’Australia e le metropoli dell Nord America. Un dibattito che si espande con termini vagamente progressisti, i quali hanno come riferimento una vasta gamma di posizioni, dall’approccio borghese-democratico del miglioramento del sistema esistente, alla rottura rivoluzionaria e la liberazione sociale. Comunque, si può dire che non vi sia solamente una crisi del sistema, ma che si stia intensificando ed espandendo la resistenza e il dibattito pubblico per un superamento radicale della crisi, cosa che crea in noi delle speranze.

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Romania, il fronte orientale della crisi

Ancora proteste e scontri contro il governo a Bucarest, dove un migliaio di persone sono scese in piazza contro i provvedimenti di austerity varati dal governo A  Nella capitale i manifestanti hanno fronteggiato la polizia ed eretto barricate dando fuoco a edicole e cassonetti della spazzatura. Quelle di ieri nella capitale romena sono state le più violente manifestazioni dall’inizio della protesta giovedì scorso: solo ieri  oltre 50 manifestanti sono stati feriti  dalla repressione poliziesca e circa 40 fermati. Manifestazioni si sono tenute anche a Cluj, Timisoara e Iasi.

I manifestanti chiedono le dimissioni del primo ministro Emil Boc e del presidente Traian Basescu, ritenuti responsabili del drastico abbassamento del livello di vita a causa delle misure di risparmio e austerità adottate negli ultimi mesi.Tra queste l’aumento delle tasse e il taglio del 25% degli stipendi nel settore pubblico.   Le proteste erano iniziate giovedì quando Raed Arafat, funzionario del ministero della Sanità, si è dimesso perché contrario alle riforme sanitarie proposte del governo. Venerdì il presidente Traian Basescu ha ordinato di abolire la riforma, ma le proteste si sono ugualmente trasformate in manifestazioni anti-governative.

Cesare La Mantia, docente di storia e istituzioni dell’Europa centrale all’Ateneo di Trieste

Da Radio Onda d’Urto

La Romania scende in piazza

Fronte orientale – Privatizzazioni e tagli al welfare, dopo Bucarest scontri a Brasov e Timisoara. Le proteste dopo le dimissioni di Raed Arafat, viceministro della sanità. Polizia scatenata.

 di Gianluca Falco da Il Manifesto

In strada per difendersi dalle privatizzazioni selvagge o, se volete, per difendere gli ultimi brandelli dello stato sociale. La Romania è in gran fermento. Quattro giorni di proteste che non avranno avuto i grandi numeri della rivoluzione per eccellenza in questa enclave latina nei Balcani – quella dell’89 -, ma che sono state continue e che ancora ieri sera si facevano sentire. A Bucarest come a Brasov, a Timisoara come a Cluj e a Sibiu e cosi via in 10 judeti (le province) del paese. 15.000 persone per sfogare la rabbia contro il governo (coalizione di centro-destra appoggiata anche dalla minoranza magiara) e contro il presidente Basescu, la cui popolarità è in caduta libera. Stesso scenario che negli altri paesi d’Europa. La stagnazione economica che fa il gioco del Fmi, il prestito richiesto, i conseguenti tagli violenti e massicci per garantire la restituzione. Misure di austerity che hanno colpito insegnanti, dipendenti statali, pensionati, perfino quelli della rivoluzione dell’89 che si sono visti dimezzare da un giorno all’altro il contributo che lo stato gli riconosceva. Quelli che insomma già facevano una fatica matta ad arrivare a fine mese. Ma gli slogan dei manifestanti riguardavno anche la dilagante corruzione nel paese.

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Anonymous attacca siti governativi e casapound

fonte: agi

Roma, 12 gen. – La rete di hacker globale ‘Anonymous’ ha attaccato il sito del governo www.governo.it e il portale italia.gov.it, rendendoli irraggiungibili per molti minuti, e le pagine web di Casapound. Sono gli stessi promotori dell’iniziativa, battezzata ‘Operation Payback’, a rivendicarlo su internet, dopo un pomeriggio passato a depistare: dopo aver annunciato gia’ ieri l’attacco informatico al sito del governo, a sorpresa nel primo pomeriggio la “potenza di fuoco” degli hacker si e’ spostata su italia.gov.it, il portale dell’amministrazione digitale, mettendolo ko, per poi spostarsi rapidamente su governo.it. Poi gli hacker si sono concentrati sul sito di Casapound, mettendolo offline.

L’attacco si e’ svolto in modalita’ ‘Ddos’: i computer degli ‘Anonymous’ generano contemporaneamente centinaia di migliaia di false richieste di accesso al sito web preso di mira, finche’ questo non collassa diventando irraggiungibile. “A distanza di quasi un anno dall’ultimo attacco contro il governo, siamo tornati”, recita un comunicato diffuso online. “Il nuovo governo si e’ presentato con l’aspetto frigido di chi non avendo mai praticato la politica dovrebbe risultare esente dalle tentazioni che noi italiani ben conosciamo. Sventolando parole a lungo agognate quali equita’, giustizia sociale e rigore. Ebbene di queste non s’e’ ancora vista l’ombra, escluso il contegno con cui vi presentate ai media. Sappiate che siete sotto osservazione da piu’ parti, e che non basteranno quattro buoni propositi”.

Fiat Dux – Note a margine

Il contratto specifico di primo livello è entrato in vigore dall’1/01/2012 in tutti gli stabilimenti FIAT. Esso cancella il CCNL e tutti i contratti aziendali esistenti. Ad esso si accompagnano: il contratto specifico dell’auto ed il recesso (disdetta) del CCNL 2008 dei metalmeccanici, che passerà alla storia come l’ultimo votato dai lavoratori.

Sono tre passaggi che i padroni hanno fatto nel giro di 10 giorni (da 13 al 23 dicembre 2011), e che modificano radicalmente le relazioni sindacali nonché le relazioni sociali in Italia. In sostanza si chiude un ciclo di protagonismo dei lavoratori e del sindacato conflittuale/rivendicativo.

E’ utile porre inoltre attenzione agli interventi legislativi , il collegato lavoro, l’art.8 di Sacconi, quest’ultimo intervento non ancora concluso, per cui manca ad esempio la riscrittura dello Statuto dei Lavoratori o l’ulteriore modifica di sue parti. Tutto questo svolge una funzione fondamentale di disarticolazione del diritto del lavoro, completando l’opera ed eliminando di fatto diritti e tutele.

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Stop that train – Sviluppo e attualità del Movimento NoTAV

di Kristin Carls / Dario Iamele

Chiomonte, 3 luglio 2011, ore 10.00. La lunga stretta strada dell’abitato fra le vecchie case di pietra è strapiena e dalla stazione si aggiunge con ogni treno in arrivo un’altra piena di gente. Mentre nel villaggio ci si trattiene ancora in lunghe file per panini, formaggio montano e caffè, la testa del corteo dei dimostranti è già in marcia un bel po’ avanti giù nella valle. Dappertutto sventolano bandiere bianche con su un treno crociato in rosso e la scritta No TAV oppure Stop that Train.

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‘Quello che non si dice’ su liberalizzazioni & privatizzazioni

Sono oramai giorni che il capitolo ‘liberalizzazioni’ anticipato e previsto dal governo Monti ha preso piede nel dibattito pubblico, tematizzato dagli organi di stampa, sponsorizzato dalle ‘forze politiche dell’austerity’, contestato dai primi destinatari (cetuali?) dei provvedimenti, quindi discusso e dibattuto da coloro che nella categorizzazione gerarchica dei decreti sono e saranno sempre più la clientela…

Necessariamente il nodo liberalizzazioni non è esente di complessità e problematicità, laddove vanno a scontrarsi interessi contrapposti e particolari. Bisogna fare i conti con degli interrogativi, ineludibili, e il primo non può che essere quello relativo all’antagonismo tra strutture dell’oligopolio capitalistico in avversione al corporativismo cetuale di alcune categorie… che, semplificando, non possono che essere ascritte allo stesso sistema organizzativo?!

Ovviamente una delle necessità è quella di mantenere chiaro il contesto nel quale ci si muove, ben introdotto dall’articolo che segue di Tonino Perna; la dimensione del mercato e i suoi centri i potere, l’ideologia liberista e l’onta delle privatizzazioni, etc. Considerando soprattutto quanto nascosto dal velo delle liberalizzazioni del governone dei professori, soprattutto se andiamo a considerare la gestione dei territori e dei suoi servizi (acqua, trasporti, etc), dove la traduzione da compiere è quella di liberalizzazioni in privatizzazioni, che spinge ancora di più nello spazio del libero mercato quanto dobbiamo considerare servizio pubblico, collettivo, comune.

Tonino Perna con il suo articolo su Il Manifesto, intitolato ‘Quello che non si dice’, crediamo fornisca un primo contributo utile ed interessante per rovesciare il credo smithiano del liberismo in quelle che sono state le risultanti di un’ideologia che ha sospinto il mondo intero in una crisi sistemica che affonda le sue radici in una religione che è la crisi stessa a mettere in discussione, che non può che vederci protagonisti di una critica e contestazione radicale in avversione ad un sistema marcio, che le libertà le vuole strangolare a favore di un dio mercato programmato per il saccheggio.

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