Intervista a Fathi Chamkhi di Attac Tunisia che spiega la normalizzazione imposta dal partito islamista al potere ma anche le potenzialità di una rivoluzione che non è finita

Fabio Ruggiero

A un anno dallo scoppio della rivoluzione tunisina, che ha portato alla caduta di Ben Ali, abbiamo intervistato Fathi Chamkhi che fa parte di Raid Attac della Tunisia e ora anche del Cadtm, associazione internazionale che sta portando avanti la battaglia per l’annullamento del debito.

Ad un anno dalla cacciata di Ben Alì si può fare un primo bilancio rispetto agli obbiettivi della rivoluzione? Quali sono stati i cambiamenti a tuo avviso più importanti e le istanze che invece non si sono ancora realizzate?

E’ la crisi sociale che ha alimentato il sentimento di rivolta tra le classi popolari tunisine. La dittatura politica, e più ancora le pratiche mafiose del clan Ben Ali sono stati anch’essi detonatori della rivoluzione.
23 anni di politica neoliberista protetta da un potere repressivo hanno pemesso di dissanguare le classi popolari, o meglio una grande maggioranza della società.
Le manifestazioni sociali più importanti di questa crisi sociali sono la povertà estrema (1/4 della popolazione), la crisi dell’occupazione (15% di disoccupazione e 2/3 della popolazione attiva in situazione di sotto impiego), con l’aggiunta, ovviamente di regioni interne totalmente marginalizzate.
C’è anche il peso della dittatura politica e ciò che questa ha generato in termini di frustrazioni nella popolazione, in particolare tra i ranghi degli intelletuali e della media borghesia.

Quali risposte la rivoluzione ha portato a tutto ciò ?

Sul piano politico le risposte sono più che soddisfacenti : le libertà individuali e pubbliche sono una realtà tangibile, la libertà di associazione e di manifestazione sono ampiamente garantiti, la libertà della stampa è in netto progresso… E, ovviamente, le elezioni sono state una vera e propria riuscita dal punto di vista delle norme democratiche. Insomma, al livello politico, tutti sono d’accordo nel dire che la Tunisia sta molto meglio.
D’altro canto, a livello sociale, la situazione è peggiorata. Infatti, la rivoluzione non è ancora riuscita a dare delle risposte alle rivendicazioni sociali che si sono accumulate durante la dittatura. Possiamo anzi affermare che la crisi sociale si è aggravata.

Di chi la colpa ?

Credo che la colpa sia da dare in primo luogo al movimento rivoluzionario che non a saputo, oppure non era pronto, portare un proprio governo al potere. Oppure ad imporre un governo che tenesse conto delle sue rivendicazioni. Non che non ci abbia provato. Al contrario, il movimento rivoluzionario ha mantenuto un buon livello di mobilitazione per fare una pressione sufficiente sul potere affinché questo si mettesse in sintonia con la rivoluzione. Ma le manovre e la propaganda della controrivoluzione sono riuscite a confondere le acque e disorientare le masse, in assenza di un avanguardia rivoluzionaria capace a dare al movimento le analisi politiche e sociali necessarie per contrastare il discorso dominante.
Il governo ha mantenuto la barra della politica ecomomica e sociale di Ben Ali malgrado la rivoluzione. In queste condizioni non poteva portare soluzioni all’estrema povertà, né alla disoccupazione di massa e al sotto-impiego, né alla disperazione delle regioni interne.
Peggio ancora, questa ostinazione nel mantenere la stessa politica liberista ha impedito al governo di normalizzare la situazione e restaurare la calma nel paese, cosa che a sua volto ha creato problemi all’attività economica che è rallentata, alimentando così la crisi sociale : più disoccupazione, aumento dei prezzi.


Le elezioni del 23 ottobre hanno visto la vittoria di un partito islamista, che a suo dire si faceva interprete delle istanze rivoluzionarie. Oggi governa in una coalizione ampia anche con la “sinistra progressista”. Come giudichi la formazione di questa coalizione e l’operato del governo in questi primi 3 mesi? In Italia molti dicono che la rivoluzione in Tunisia, come in Egitto, è finita con la vittoria di Ennhada e la repressione dei militari. Qual è la tua opinione?

L’attuale governo, che è un governo di coalizione tra tre partiti, con il partito islamista Ennahda come forza principale, è in realtà un governo capitalista liberista, con un’ideologia islamista dominante. I due altri partiti non possono essere definiti parte della sinistra progressista. Sono partiti che si sono formati intorno a due personalità dell’opposizione: Marzouki (CPR) e Ben Jaffar (FDTL). In realtà, questi due partiti non hanno ancora acquisito una vera e propria identità sociale. Seguono per adesso semplicemente le ambizioni personali dei loro leader.
Questo governo, eletto da una grande maggioranza del popolo, non porta avanti una politica a favore di quest’ultimo. Il governo diretto da Ennahda porta avanti la stessa politica in atto sotto la dittatura.
Basti vedere la finanziaria del 2012, appena adottata, che è una copia di quelle del dittatore, per esempio il pagamento dell’interesse del debito pubblico è la prima voce del bilancio, il 18,5% delle risorse pubbliche. Dire che la rivoluzione è finita perché Ennahda ha preso il potere non è per niente dimostrazione di serietà. Basti vedere l’importanza della mobilitazione sociale, che non diminuisce affatto, per arrendersi all’evidenza: il processo rivoluzionario prosegue.

Qual è il quadro della sinistra in Tunisia? Puoi parlarci della campagna per l’annullamento del debito della Tunisia? Ci sono rapporti tra i movimento sociali tunisini e quelli degli altri paesi arabi, come Siria ed Egitto?

La sinistra tunisina, che é essenzialmente una sinistra anticapitalista, non è molto in foma! Sembra paradossale con la crisi rivoluzionaria che é aperta da un anno. In effetti, se le condizioni obiettive sono favorevoli alla costruzione di un’alternativa rivoluzionaria, resta comunque il fatto che la sinistra é politicamente abbastanza debole. Questa debolezza é essenzialmente dovuta ad una cattiva comprensione della situazione concreta e delle contraddizioni che scuotono la società tunisina. Ma la sinistra sta recuperando il suo ritardo ideologico sotto la pressione della rivoluzione.
Proviamo a tessere dei legami con i movimenti sociali nei vari paesi arabi. Per quanto ci riguarda, in seno all’associazione RAID (Attac Cadtm Tunisia), abbiamo legami forti con i movimenti sociali marocchini ed egiziani con i quali abbiamo messo in atto un’iniziativa per la cancellazine del debito pubblico.
Detto questo, all’indomani della caduta del dittatore abbiamo lanciato una campagna per l’annullamento del “debito odioso” (vedi Lettera al Governatoere della Banca centrale tunisina ). Siamo riusciti a popolarizzare questa questione. In effetti, organizziamo conferenze e dibattiti dovunque in Tunisia; ultimamente, il 6 gennaio 2012, siamo stati invitati a Redeyef, nel bacino minerario, dove abbiamo animato una conferenza-dibattito sulla questione del debito ma più generalmente sul finanziamento estero. C’erano più di 600 persone a questa riunione. Organizziamo manifestazioni, giornate di azione, ecc…
La questione del debito è al cuore del sistema di dominazione capitalista imposto dall’imperialismo, dalla dittatura. Oggi, dopo la caduta del dittatore, la borghesia mondiale vuole mantenere lo stesso sistema, per il momento ci riesce, ma pensiamo che questa volta sbaglia. La rivoluzione ha già suonato la fine del sistema di dominazione imperialistica e la sua caduta finale è ormai solo una questione di tempo a breve o a medio termine.

Tunis, 14 gennaio 2012.