Perché 28 maggio?
Per non dimenticare una strage Fascista di Stato a tutt’oggi impunita avvenuta in piazza Loggia il 28 maggio del 1974 alle ore 10,12.
Per non dimenticare Giulietta Banzi, Livia Bottardi Milani, Euplo Natali,Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Vittorio Zambarda che vivono ancora nelle lotte di noi Antifascisti.
Chi siamo?
Siamo COMUNISTI orgogliosi e fieri di essere tali, che hanno come finalità “ l’ABOLIZIONE dello stato presente delle cose”
siamo coloro che appartengono alla classe degli sfruttati, degli emarginati dei diseredati, dei precari,dei disoccupati.
Ma siamo anche “ attori della vita, filosofi da strada, pittori alla ricerca di quadri senza tela, siamo musicisti senza note, poeti senza rime, siamo zingari felici privi di magie” di certo non siamo quelli che abbassano gli occhi di fronte alle ingiustizie della nostra storia, siamo coloro che ritengono che sia meglio lottare ballando che vivere strisciando.
La nostra storia:
inizia nel 1997 quando come Coordinamento di Rifondazione Comunista della Franciacorta avvertimmo la necessità dopo sei anni di presenza sul nostro territorio, di sperimentare qualche cosa di diverso dal classico modo di fare politica, che andasse più in là dal concepire la politica come solo momento istituzionale e verticista, creando uno spazio che potesse diventare punto di aggregazione e di incontro delle diverse esperienze e sensibilità presenti.
L’operazione non è, e non è stata facile dal momento stesso in cui il Centro Sociale 28 maggio NON è un luogo aperto a tutti, poiché a fascisti, leghisti, razzisti e tutti coloro che propugnano disuguaglianze è VIETATO l’accesso, ma è uno spazio in cui si cerca di costruire un incontro- confronto delle esperienze politiche, culturali ed artistiche di tutti coloro che sono antagonisti al modello di società attuale e allo stesso tempo consentire a compagni/e, gruppi, associazioni di far circolare i loro pensieri, le loro elaborazioni, le loro esperienze, perché pensiamo che abbiamo un sogno comune che ci unisce, percorso su strade diverse.
Iniziammo in una struttura di novanta metri quadrati, un ex negozio, pagando l’affitto, in via XX settembre a Rovato, un comune guidato allora da uno dei sindaci più razzisti della provincia, Roberto Manenti, noto per le sue ordinanze contro gli immigrati, per aver inaugurato una via ai caduti della repubblica sociale di Salò. Infatti il giorno dell’inaugurazione si presentavano due pattuglie dei carabinieri a darci il benvenuto. Manenti cercò in tutti i modi di farci chiudere, presentando anche un’interpellanza in parlamento, nella quale denunciava che il luogo era adibito allo spaccio di droga; senza mai riuscirci perché il luogo risultava una sede di partito.
Quella sede, nonostante i limiti dello spazio che non ci impedirono di sviluppare iniziative innovative, incontri, dibattiti, corsi, rappresentazioni teatrali, concerti in acustica, proiezione di filmati, cene di autofinanziamento diventò un punto importante per il nostro territorio.
Dopo i sei anni di convenzione, l’affitto non venne più rinnovato, causa le diverse pressioni politiche che provenivano da diversi soggetti territoriali sulla proprietà. Noi ci trovammo di fronte a una scelta: cercare un luogo che potesse soddisfare le nostre esigenze per continuare questa esperienza che aveva dato degli ottimi risultati, e che aveva visto l’aumento costante di simpatizzanti e militanti; oppure chiudere questo percorso e ritornare al punto di partenza. Si scelse la prima soluzione: di continuare.
Alcuni compagni, dopo mesi di ricerca, trovarono una struttura adeguata nei pressi della stazione di Rovato. Si trattava di una vecchia fabbrica che aveva visto una grande lotta dei lavoratori in difesa del loro posto di lavoro, lotta che era arrivata fino all’occupazione dello stabile. La fabbrica era poi stata dismessa, ed era diventata rifugio di molti immigrati che non avevano casa, fino a quando le autorità preposte, con un’ordinanza, non decisero di sgomberarla con un intervento repressivo attuato dalle forze dell’ordine. Fu per noi un momento di grande impegno politico e di mobilitazione in difesa degli immigrati, con la presentazione anche di un’interpellanza parlamentare che denunciò la repressione nei loro confronti.
E proprio mentre stavamo cercando una alternativa alla vecchia sede di Via XX settembre venimmo a sapere che la fabbrica veniva venduta a lotti di 300 metri quadrati, dopo questi anni di traversie.
Il luogo assumeva anche una caratteristica politica notevole per noi, che dentro quelle mura avevamo già fatto delle lotte a fianco degli immigrati per il diritto alla casa.
I compagni presentarono un progetto che inizialmente sembrava folle:
L’acquisto di un lotto di 300 mt. quadrati di quella fabbrica, a costi esorbitanti per noi.
Il problema non era l’idea di acquistare l’immobile, ma il denaro per poterlo acquistare, visto che non avevamo nemmeno un quinto della cifra preventivata e poi, al costo iniziale si dovevano aggiungere i costi della ristrutturazione e le spese legali che venivano accollate.
Dopo lo sbandamento iniziale i compagni/e del Centro Sociale 28 maggio decisero di intraprendere questa strada e di agire in questo modo:
- Suddividere la spesa prevista in quote dal valore di 500 euro l’una.
- Chiedere ai compagni/e interessati a questo progetto, di prestare dei soldi a titolo infruttifero, all’Associazione 28 maggio che con queste quote acquisterà il locale.
La garanzia che ogni compagno avrà sul prestito passerà attraverso una scrittura privata firmata dal presidente dell’Associazione 28 maggio e dal prestatore. La scrittura privata lascia alla Associazione 28 maggio la piena discrezionalità sui tempi della restituzione, che è garantita in modo tassativo in caso di cessazione della Associazione stessa, con il ricavato della vendita dell’immobile, o qualora l’Associazione decidesse per qualsiasi motivo di vendere l’immobile stesso.
Decidemmo che tutto questo doveva avvenire senza passare attraverso le Banche, che per noi comunisti rappresentano la massima espressione di questa società capitalista
Dopo la decisione presa ci fu una grande mobilitazione di tutti i compagni/e nel reperire risorse e nel lavoro di sistemazione dello spazio e dell’ambiente:
dai muri che non c’erano, ai bagni, alle porte, alle finestre, al pavimento, agli impianti, si doveva costruire tutto perché il posto era una grande “scatola” vuota che doveva essere riempita.
Il risultato è stato qualcosa di straordinario, nei 300 metri quadrati abbiamo ritagliato tutto quello che può servire per svolgere ogni tipo di attività:
ampio salone per concerti e dibattiti, sale riunioni e ufficio, cucina e magazzino, tutto costruito dai compagni/e utilizzando molto spesso oggetti recuperati che la gente buttava e che noi abbiamo fatto rivivere.
Da quel momento iniziarono le sfide nella gestione, nei turni, nella manutenzione, nell’organizzazione di centinaia di attività che si svolgevano e si svolgono all’interno del Centro Sociale 28 maggio, ma soprattutto la caparbia volontà di restituire nel più breve tempo possibile i soldi che i compagni/e ci avevano prestato, per non disattendere la loro fiducia, ma in particolar modo per dimostrare che un sogno lo si può realizzare se insieme viene sognato.
Infatti dopo quattro anni di duro lavoro il debito verso i singoli compagni e compagne fu sanato, i lavori ulteriormente ampliati, realizzando un luogo che è patrimonio di tutti coloro che credono in una società diversa da quella attuale.
Concludiamo con una frase di Tomas Borge che abbiamo riportato sui muri del Centro Sociale 28 maggio:
“ Il segreto è che siamo sognatori, siamo utopistici, ma non di quei sognatori che stanno sempre con il cuscino sotto la testa sulla veranda di casa, siamo sognatori con i piedi piantati per terra, siamo sognatori con gli occhi bene aperti, siamo sognatori che conoscono gli amici e conoscono i nemici”