Rob Horning, blogger che si occupa di consumismo, capitalismo ed ideologia, in un suo recente articolo intitolato Fragments of Microcelebrity, ci propone alcune riflessioni sulla microcelebrità sui social network. In passato il fenomeno della microcelebrità era stato trattato soprattutto in termini di personal branding e come accumulo di capitale nell’attention economy grazie ai social media. Il lavoro che svolgiamo nell’era del capitalismo comunicativo è costruire e commercializzare il nostro social network in vari modi; la microcelebrità è un modo di concettualizzare e articolare questo processo.

L’Attention Economy

L’attention economy è concepita come un eccesso di informazione che crea una scarsità di tempo per recepirla completamente. La scarsità di attenzione è dunque una questione di troppa informazione (TMI). Sono sempre più frequenti fenomeni che trasformano le sfumature dell’intimità e della formazione dell’identità personale in un prodotto fungibile, un’esplicita risorsa economica. Alcune delle più salienti pratiche di micro celebrità come la scrittura confessionale o l’oversharing possono anche riflettere il caso di una vita vissuta solo per confessarla e condividerla sui social media che diventano in questo modo enormi segnapunti per conferire valore agli eventi della nostra esistenza.
E’ suggestivo poter affermare che un impulso che una volta era riservato solamente agli artisti o agli esteti è stato per così dire “democratizzato”: possiamo tutti trattare i nostri amici come personaggi del nostro romanzo. Il problema sta nel fatto che la maggior parte degli artisti non operano in questo modo, ovvero non sembrano intendere la loro vita come una deliberata missione nel trasformare cose materiali in arte.

L’impulso confessionale

A onor del vero, l’impulso confessionale per molte persone non è frutto di una cinica macchinazione. La maggior parte di loro infatti non trae alcun ritorno economico dal self branding o dalla condivisone. Le pratiche di confessione sui social media sono piuttosto una risposta al sentirsi sommersi dall’informazione, alla sensazione che ci sia solo un’informazione, e in pericolo di essere ridotta alla sua totale insignificanza Sembra sempre più urgente il bisogno di dare alla nostra esperienza interiore la forma dell’informazione e permetterle di circolare.

Diversi pubblici, diverse gradazioni di attenzione

Sebbene ci troviamo nell’era dell’attention economy non tutta l’attenzione è creata alla pari. C’è infatti differenza tra attenzione degli amici e attenzione degli sconosciuti, anche se tendono a ripiegarsi in come integriamo noi stessi nelle realtà dell’attention economy. Stiamo iniziando a sostituire liberamente queste due tipi di attenzione tra di loro, rendendoci conto di questa imperfetta sostituzione solo in seguito.
Cercare micro affermazioni attraverso i social media significa avere un luogo dove rivolgersi quando si esaurisce il rubinetto dell’attenzione dei nostri amici, o quando la loro attenzione smette di soddisfare l’dea ingigantita che abbiamo di noi. O può essere che l’eccesso di micro affermazioni da parte degli amici ci induce immediatamente a sconfessarli e andare alla ricerca di qualche non amico per rifornirci di un riconoscimento genuino e non automatico.

Autonarrazione digitale ed insicurezza ontologica

Esiste anche un senso di appartenenza e d’importanza che deriva dalla reciproca negoziazione, che è il prodotto della copresenza e che può durare oltre il momento stesso in cui è plasmato. Ma il senso di inclusione, d’importanza, facilitato dalla condivisione sui social media è effimero per costruzione e per natura, il riconoscimento che si guadagna è fuggevole e superficiale.
C’è un bisogno di immediatezza nelle conferme per affrontare stati d’animo altamente volatili. Sembra esserci il bisogno di immediata e costante rassicurazione della mia appartenenza, o più semplicemente della mia esistenza, proprio ricevendo una qualche sorta di feedback dai social media.

L’economia dell’amicizia e della fama

E’ sotto gli occhi di tutti come i social media stiano cercando di monetizzare le nostre amicizie, sfruttando un network di forti legami per iniettarci della pubblicità al suo interno. Condividiamo e creiamo connessione e rintracciamo un network che esiste fuori Facebook all’interno di Facebook, rendendolo da una parte più coerente e tangibile per noi, ma permettendo dall’altra a Facebook di usarlo per i suoi fini.
La microcelebrità evoca qualcosa di piccolo ma segnala un eccesso, un bisogno costante, un desiderio, un’insoddisfazione che non può essere risolta dai social media. Se per alcuni i social media saziano il bisogno di connessione e stabilità, rendendoli parte di una rete sociale, per altri essi generano una scarsità, un incessante desidero, con i problemi che ciò implica.
E’ curioso pensare come i problemi legati alla fama, un tempo “privilegi” esclusivi delle rock star, ora affliggono molti di noi. La fama può diventare un’arma a doppio taglio: se da un lato ha dato loro l’attenzione che desideravano dopo una vita da ignorati, dall’altro questo sembra intensificare i loro sentimenti di auto disprezzo. La micro celebrità può produrre macro vergogna.

 

Francesco Perego