La ricerca di un cambiamento passa anzitutto per la rielaborazione critica dei valori e dei concetti che sottendono il funzionamento attuale della società dominante. Il nostro sistema egemonizzato dalla dimensione economico-speculativa ed esaurito nel tentativo di mantenere rapporti assimetrici di potere, per riuscire a sopravvivere alla propria inadeguatezza ha dovuto plasmare tutte le dimensioni umane a propria utilità e giustificazione.  Questo mutamento avvenuto gradualmente con l’invasione della sfera economica nella dimensione culturale e sociale, ha cambiato i concetti che organizzano la nostra vita e l’interpretazione di essa, fino a farci sembrare naturali e scontati costrutti sociali e concetti che non sono altro che l’integrazione finale di un sistema capitalistico-consumista nelle società umane.

Detto in altre parole: il funzionamento e la riproduzione del sistema attuale non sono possibili solo grazie a cio chè è “esterno” a noi (istituzioni, forme di organizzazione, organismi coercitivi, etc.), ma in particolar modo grazie a cio chè è “interno” a noi, cioè una serie di interpretazioni e concetti che guidano i nostri stili di vita, le nostre azioni e soprattutto la nostra interpretazione di esse. Questa “gabbia per la mente” come viene chiamata nel film Matrix (che proprio questo vuole rappresentare), limita innanzitutto il nostro comportamento e l’ attuazione di alternative possibili solo con la rielaborazione critica di quanto ci sembra più banale e scontato nella nostra società.

Di seguito uno spunto tratto da “Papalagi”, un breve saggio raggruppante i discorsi di Tuiavii, capo dell’ isola samoana di Tiavea, riguardo il popolo dei bianchi e quello che aveva avuto modo di osservare nel suo viaggio in Europa agli inizi del ‘900. Ritengo che il testo offra ottime prospetive per analizzare, con occhi diversi, concetti e valori che diamo per scontati nella loro forma attuale e che ci sembrano imprescindibili per una società equa; in questo caso si parla di lavoro e divisione (o meglio atomizzazione), dei ruoli.

“Ogni Papalagi ha un lavoro. E’ difficile spiegare che cosa sia. E’ un qualcosa che si dovrebbe avere una gran voglia di fare, ma il più delle volte non se ne ha. Avere un lavoro significa: fare sempre la stessa identica cosa. Fare una cosa tanto spesso che la si potrebbe fare ad occhi chiusi e senza fatica. Se con le mie mani non facessi altro che costruire capanne o intrecciare stuoie, ebbene questo costruire o intrecciare sarebbe il mio lavoro.

Ci sono lavori femminili e maschili. Lavare panni nella laguna o lucidare pelli da piede sono lavori da donne, guidare una nave sul mare o sparare ai piccioni nella boscaglia sono lavori da uomini. La donna lascia quasi sempre il proprio lavoro appena si sposa, mentre l’uomo solo allora comincia a praticarlo seriamente. Il padre da la propria figlia solo se il pretendente ha un buon lavoro. Un Papalagi senza lavoro non si può sposare. Ogni uomo bianco deve assolutamente avere un lavoro.

Per questa ragione ogni Papalagi deve decidere, molto prima di quando un giovane da noi si fa tatuare, che lavoro vuole fare per tutta la vita. E questo significa fare un mestiere. E’ una cosa molto importante e l’uomo bianco ne parla tanto, quanto parla di quel che vuole mangiare il giorno dopo. Se per esempio vuol diventare un intrecciatore di stuoie, allora il bianco più anziano porta il giovane da un uomo che non fa altro che intrecciare stuoie. Quest’ uomo insegnerà al giovane come fare una stuoia. Gli deve insegnare a fare una stuoia senza che abbia bisogno di guardare. Spesso ci vuole molto tempo prima che impari, ma non appena è pronto il giovane va via e si dice: ha un mestiere.

Se più tardi il Papalagi si accorge che preferirebbe costruire capanne piuttosto che intrecciare stuoie, si dice: ha sbagliato lavoro, che è come mancare il bersaglio. E’ un grave dolore perchè va contro i loro costumi mettersi di punto in bianco a fare un altro lavoro. Va contro l’onore di un vero Papalagi dire: non ci riesco, non mi va; oppure: le mie mani non mi ubbidiscono. Il Papalagi ha tanti lavori, quante sono le pietre sul fondo della laguna. Di ogni attività fa un lavoro. Se uno raccoglie le foglie appassite dell’ albero del pane fa un lavoro. Se uno pulisce le stoviglie fa un altro lavoro. Tutto è lavoro se si fa qualcosa. Con le mani o con la testa. Anche pensare o guardare le stelle sono lavori. Non c’è niente che possa fare un uomo che il Papalagi non possa trasformare in lavoro.

Se un bianco dice: sono uno che scrive lettere, significa che questo è il suo lavoro, e cioè non fa altro che scrivere una lettera dopo l’altra. Non arrotola sulla trave la sua stuoia per dormire, non va in cucina per arrostirsi un frutto, non lava le sue stoviglie. Mangia pesci ma non va a pescare, mangia frutti ma non raccoglie mai un frutto da un albero. Scrive una lettera dietro l’altra perchè questo è un lavoro. Proprio come tutte le attività che ho descritto di per se sono lavori: arrotolare le stuoie, arrostire frutta, pulire stoviglie, catturare pesci o raccogliere frutta. Solo il lavoro da pieni poteri sulla propria attività.

E cosi va a finire che la maggior parte dei Papalagi sanno fare solo quello che è il loro lavoro; e il capo di tutti che ha molta saggezza nella testa e molta forza nelle braccia, non è capace di riporre la propria stuoia da notte sulla trave o di pulire le sue stoviglie. E cosi accade che colui che è capace di scrivere una lettera di molti colori, non deve per forza essere capace di andare in canoa sulla laguna, e viceversa. Avere un lavoro significa: saper soltanto correre, assaggiare, annusare, combattere; saper fare sempre solo una cosa. In questo saper-fare-una-cosa-sola c’è un grave difetto e un grave pericolo: perchè può capitare a tutti di dover condurre una canoa sulla laguna. Il Grande Spirito ci ha dato le mani perchè possiamo raccogliere i frutti dagli alberi,  per prendere nella palude le radici del taro. Ce le ha date per proteggere il nostro corpo da tutti i nemici, e per la nostra gioia nella danza, nel gioco e in tutti gli altri divertimenti. Sicuramente non ce le ha date solo per costruire capanne, raccogliere frutta o per strappare radici, ma perchè ci servano e difendano in ogni momento e in ogni situazione.

Questo però il Papalagi non lo comprende. Ma che il suo agire è sbagliato, completamente sbagliato, e contro tutti i comandamenti del Grande Spirito, lo vediamo dal fatto che ci sono bianchi che non riescono più a correre, che mettono molto grasso sulla pancia come i maiali, perchè devono stare sempre fermi a causa del loro lavoro, che non riescono più a sollevare un giavellotto e a lanciarlo, perchè la loro mano sa solo tenere l’osso per scrivere; stanno seduti nell’ ombra tutto il giorno a non fare altro che scrivere lettere, e non sanno più portare un cavallo, perchè stanno a guardare le stelle o a dissotterrare pensieri dalla testa.

Raramente un Papalagi adulto sa saltare e correre come un bambino. Camminando trascina il suo corpo e va avanti come se fosse costantemente bloccato. Maschera e rinnega questa debolezza dicendo che correre non si addice a un uomo dabbene. Ma questo è un falso motivo: le sue ossa sono diventate rigide e bloccate, e i suoi muscoli hanno perso la gioia perchè il lavoro li ha condannati al sonno e alla morte. Anche il lavoro è un demone che distrugge la vita. Un demone che da all’ uomo allettanti consigli, e che però gli beve il sangue dal corpo

(…)

Questa è la causa della grande infelicità del Papalagi. E’ bello prendere acqua al ruscello, anche più volte al giorno; ma chi deve farlo dall’ alba al tramonto, tutti i giorni e tutte le ore, finchè gli bastano le forze, scaglierà via in un impeto d’ira il secchio, pieno di collera per le catene con le quali è tenuto il suo corpo. Perchè niente è più pesante che fare sempre la stessa cosa

Ci sono però Papalagi che non hanno il privilegio di poter raccogliere acqua alla stessa fonte, giorno dopo giorno; e questa potrebbe essere anche per loro una gran gioia. E invece no: ci sono Papalagi che devono alzare o abbassare la propria mano, oppure la spingono contro un bastone, e questo lo fanno in una stanza sporca , senza luce e senza sole. Non fanno niente che richieda l’ impiego della forza o che dia gioia; sono costretti a sollevare, abbassare, batterecontro una pietra per seguire il pensiero di un Papalagi: perchè così si mette in moto o si regola una macchina che taglia anelli bianchi e rigidi, o scudi per il petto, conchiglie per i pantaloni o altre cose ancora. Ci sono in Europa più uomini che palme sulle nostre isole, il cui volto è grigio come la cenere, perchè non conoscono la gioia nel lavoro, perchè il mestiere distrugge ogni godimento, perchè dal loro lavoro non nasce nessun frutto ne una foglia di cui possano gioire.

Per questo negli uomini da lavoro cova un odio profondo. Tutti quanti hanno nel cuore qualcosa che somiglia a un animale tenuto in catene, che si ribella ma non riesce a liberarsi. E tutti confrontano con gli altri il lavoro che fanno, colmi di invidia e gelosia: si parla di lavori superiori e inferiori, anche se tutti i lavori sono solo attività a metà. Perchè l’uomo non è solo mano solo piede o solo testa: è tutto insieme. Mano, piede e testa vogliono restare uniti. Solo se tutte le membra e i sensi agiscono insieme, solo allora un uomo può goire in cuor suo in modo sano, e mai può farlo se solo una parte ha vita e tutte le altre devono rimanere morte. Questo porta confusione, disperazione o malattia.

A causa del suo lavoro il Papalagi vive confuso. Non lo ammeterà mai, e sicuramente se mi sentisse dire tutte queste cose, direbbe che sono io il folle a voler fare il giudice, io che non ho mai avuto un mestiere ne ho mai lavorato come un europeo. Ma il Papalagi non ci ha detto la verità, e non ci ha spiegato il motivo per cui dovremmo lavorare di più di quanto voglia dio per saziarci, per avere un tetto e divertirci alle feste del villaggio. Questo lavoro può sembrare ben poca cosa, e la nostra esistenza povera di mestieri. Ma colui che è un uomo e un fratello giusto delle molte isole, fa il suo lavoro con gioia, mai con sofferenza. Piuttosto non lo fa per niente. Ed è questo che ci fa diversi dai bianchi. Il Papalagi quando parla del suo lavoro sospira come se un peso lo schiacciasse. I giovani delle Samoa si recano cantando nei campi di taro, e cantando le vergini lavano i panni alla fonte zampillante. Il Grande Spirito sicuramente non vuole che ingrigiamo per i nostri mestieri, e che strisciamo nella laguna come piccoli rettili. Vuole che rimaniamo fieri e giusti in ogni cosa che facciamo, e sempre uomini con occhi gioiosi e membra sciolte.”

Contestualizzando e criticizzando il discorso di Tuiavii, emergono comunque riflessioni interessanti su valori che ci sembrano tanto banali e naturali come il lavoro e la divisione dei compiti, e come l’estremizzazione e la strumentalizzazione di questi concetti per garantire la sopravvivenza dell’ attuale sistema sociale ci porti inevitabilmente verso l’uomo a una dimensione. Un’ alienazione che ancor prima di essere nel lavoro sta nel ruolo, e nell’ autoriduzione che fa ognuno di noi all’ interno di esso (sono uno studente, sono un artista, sono un operaio, etc), riducendo le proprie interpretazioni, orientamenti, interessi e i nostri sforzi cognitivi oltre che alle nostre conoscenze individuali e la nostra capacità di mettere in relazione i diversi saperi.

Inutile dire come l’attuale esasperazione della settorializzazione e compartimentazione di ruoli e saperi non sia utile ne a livello individuale ne a livello sociale e produttivo. L’unica utilità di questa organizzazione del lavoro e del sapere e dei valori che la supportano, è quella di mantenere gli attuali rapporti di potere dell’ uomo sull’ uomo.

In tale ottica anti-settarista, non possiamo che cercare e sperimentare uno stile di vita e di organizzazioni coerente a tale coscienza, sperando di trovare un salvagente per le nostre esistenze che possa essere appetibile ed auspicabile anche per gli altri che vogliono abbandonare questa “grande barca” nell’ auspicio che rimanga senza equipaggio.

In fondo non si sta dicendo niente di nuovo…tutte queste rielaborazione hanno radici vecchie quanto questo sistema e trovano la loro più sintetica espressione in uno dei più celebri slogan situazionisti:

“NON LAVORATE MAI!”

Fich