L’anno nuovo è cominciato peggio di come era finito quello vecchio.
Dalla mezzanotte del 31 dicembre sono aumentate le tariffe di luce (+ 4,9%), gas (2,7%) ed autostrade (3,52%). Si tratta di tariffe amministrate, decise cioè direttamente dai pubblici poteri.
Ci sono stati poi altri aumenti di altre tariffe amministrate, come il canone RAI (per chi lo paga), e di tariffe controllate, come quelle delle assicurazioni per le auto. In sei regioni sono aumentate anche le accise regionali sulla benzina.Il grosso degli aumenti di capodanno riguarda l’autotrasporto e questo, in un paese dove l’80% delle merci viaggia su gomma, si trasformerà in un ulteriore aumento dell’inflazione. L’ennesimo aumento delle tariffe autostradali merita qualche considerazione specifica, visto che si tratta di una delle più cospicue rendite percepite da pochi “imprenditori” privati (in particolare la famiglia Benetton) a scapito della collettività.
Dal 2000 (anno successivo alla privatizzazione della società Autostrade) i pedaggi autostradali sono aumentati del 52,6% (in media per tutta la rete, in alcuni tratti di più, in altri meno). Nello stesso periodo il costo della vita è aumentato del 27,1%.
Nel 2011, utilizzando come riferimento i dati dei primi 9 mesi del 2011 e quelli dell’anno precedente, la società Atlantia (proprietaria della società Autostrade S.p.A., concessionaria di una grossa parte della rete autostradale) dovrebbe avere incassi da pedaggi pari a 3 miliardi 400 milioni di euro. Di tutti questi soldi allo stato vanno solo 309 milioni di euro come oneri concessori. La redditività è altissima: il margine operativo lordo è del 62,1% pari a 2 miliardi 413 milioni di Euro. Né vale il discorso che la società Autostrade effettua investimenti sulla rete. Ad oggi hanno completato – secondo quanto dichiara la stessa società Atlantia – solo il 62% del piano di investimento elaborato nel 1997 (quando Autostrade era ancora di proprietà dell’IRI) e il 33% del piano del 2002. Secondo la Banca d’Italia i dati più recenti sono anche peggiori: “sono stati completati meno del tre per cento degli investimenti decisi nel programma del 2004, il programma più recente, quello del 2008, è ancora in fase di studio”.
Nel 2011 Gilberto Benetton (proprietario di Atlantia, insieme alla sua famiglia) ha così incrementato il proprio patrimonio personale di 300 milioni sul 2010: adesso possiede un patrimonio personale di 2,4 miliardi di dollari. E poco meno hanno i suoi tre fratelli Giuliana, Carlo e Luciano. Nessuno dei loro patrimoni è stato intaccato in alcun modo di tutte le manovre economiche varate sia da Berlusconi, che, anzi, gli ha prolungato le concessioni autostradali da trenta a cinquanta anni, sia da Monti.
Dopo non averli toccati nella “fase uno” delle lacrime e sangue ai danni di lavoratori e pensionati adesso il governo provvederà a fargli fare altri soldi con la “fase due” delle feste e regali per ricchi e potenti. Spacciano la “fase due” come quella del rilancio dell’economia, solo per mascherare la stessa formula che da circa trenta anni sta mettendo in ginocchio il paese: precarietà, privatizzazioni e liberalizzazioni gattopardesche.
Gli unici ad avere i soldi per poter acquistare a prezzo stracciato i servizi di pubblica utilità che saranno privatizzati sono proprio quelli (come i Benetton per autostrade) che si sono arricchiti con la crisi. Abbiamo già visto a cosa servono le privatizzazioni: a regalare pezzi di patrimonio pubblico a pochi privati che sfruttano situazioni di monopolio (o fanno accordi di “cartello” come per banche, benzina e assicurazioni) per trarne profitti altissimi.
Lo stesso vale per le case degli enti regalate ai politici. In questo governo c’è chi lo sa bene: Filippo Patroni Griffi, Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, è proprietario di una casa, con vista sul Colosseo e sul Palatino, a 50 metri di distanza da quella comprata da Scajola “a sua insaputa”. Patroni Griffi la casa l’ha comprata “in piena consapevolezza” dall’INPS. Il problema è che ha pagato, per una casa di 109 metri quadrati con vista Colosseo e Palatino, solo 177 mila 754 euro nel 2008. Il valore commerciale dell’appartamento, tanto per capire di quanto stiamo parlando, supera il milione di euro. Oltre ad avere il dubbio di come mai abbia pagato così poco, resta il mistero di come uno che faceva il giudice abbia ottenuto una casa qualificata come “popolare” con un canone d’affitto intorno agli 850 euro l’anno. Sarà per l’eccessivo dispendio di denaro dovuto all’acquisto della casa che mantiene, nonostante sia da anni in aspettativa e fuori ruolo, lo stipendio di presidente di sezione del Consiglio di Stato, a cui ha cumulato – in omaggio alla lotta ai privilegi – lo stipendio di ministro.
Le altre privatizzazioni, quelle dei terreni demaniali, stanno facendo rinascere il latifondo, che finirà per uccidere la già stremata agricoltura italiana. Per quanto riguarda le liberalizzazioni faranno la solita manfrina per fare poco o nulla. Del resto hanno annunciato che adotteranno “i suggerimenti provenienti dall’Autorità Antitrust”, cioè quella stessa Autorità che in questi anni si è contraddistinta per non aver fatto nulla contro il cartello delle assicurazioni, delle banche, dei petrolieri e della televisione. Si limiteranno ad abolire le tariffe minime decise dagli ordini professionali e non toccheranno nessuno dei privilegi, tanto per non far esempi, dei notai. Sull’orario dei negozi, punteranno a favorire la grande distribuzione commerciale a scapito dei piccoli esercenti, come se il problema del crollo dei consumi fosse che i negozi sono chiusi la notte e non che non ci sono soldi. L’unico elemento di incertezza è nello scontro tra la grande distribuzione commerciale e i petrolieri per la liberalizzazione della vendita di carburante. Devono trovare un modo per abbassare i prezzi perché il consumo di carburanti è crollato dopo gli ultimi aumenti ed hanno paura che non entrino in bilancio tutti i soldi iscritti per l’aumento delle accise.
Il nodo “politico” vero della “fase due” sarà la riforma del mercato del lavoro. La presa in giro è che la stanno presentando come “riorganizzazione degli ammortizzatori sociali”. Peccato che i soldi non ci siano e si limiteranno a redistribuire la miseria! Fa addirittura ridere la proposta del “modello danese”: libertà di licenziamento e un’indennità di disoccupazione molto alta con una struttura statale di riqualificazione e di ricollocamento efficace. Peccato che per adesso approvino solo la libertà di licenziamento. Per il resto non ci sono i soldi, tra due mesi diranno che “l’Italia non è la Danimarca” e rimarrà solo la disoccupazione. Se proprio vogliono adottare il “modello danese”, comincino con una alta indennità di disoccupazione e poi parliamo del resto! Un’escamotage per abolire l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ed il conseguente divieto di licenziamenti discriminatori (checché ne dicano, quelli per motivi economici già li possono fare ed infatti li fanno) è la proposta di abolirlo solo per i nuovi assunti. Tempo un paio d’anni, ci sarà un valzer di attività tra un’impresa e un’altra dello stesso padrone e diventeranno tutti “nuovi assunti”.
In ogni caso, mentre aspettate la “fase due”, non vi crediate che, con il capodanno, sia finita la “fase uno”. Gli effetti delle manovre economiche varate nel corso del 2011 si devono ancora vedere tutti. Nel 2011, l’impatto della manovra è stato di 2,8 miliardi, nel 2012 la manovra sarà di 48,3 miliardi di Euro: 17 volte di più e nei due anni successivi sarà ancora peggio fino ad arrivare agli 81,2 miliardi di Euro nel 2014. Non è neanche detto che tutti questi soldi bastino ad evitare il default dell’Italia.
L’Italia è in recessione. I consumi del periodo natalizio sono calati di quasi il 20% (tra l’altro aumentando molto gli acquisti “made in China” – più economici – per i regali). Nel mese di novembre 2011, prima dei recenti aumenti, è addirittura diminuito il consumo di benzina (-8,1%) e gasolio (-4,2%), oltre ai consumi elettrici (-2%). L’ISTAT ha certificato il calo del PIL nel terzo trimestre (subito dopo le manovre estive) di -0,2%. Il quarto trimestre sarà andato sicuramente peggio, alla luce della diminuzione dei consumi (nel terzo trimestre erano scesi “solo del -0,4%). Questo significa che il PIL italiano nel 2011, invece di crescere dell’1,1% (come previsto nelle manovre estive) o dello 0,6% (come avevano previsto a settembre) crescerà di meno dello 0,5% (addirittura diminuirà su base annua se dovessero avverarsi le previsioni di confindustria di un calo del PIL del -0,7% nel quarto trimestre).
Nel 2012 andrà anche peggio. Ad oggi le previsioni sono per una diminuzione del PIL del 2%, ma tendono a peggiorare (un mese fa parlavano di diminuzione dell’1%, quest’estate di crescita dell’1,3%). Siccome il problema è il rapporto deficit/PIL, se diminuisce il PIL deve diminuire anche il deficit per mantenere il valore inalterato. Oltretutto, diminuendo il PIL, diminuiscono le entrate e il deficit peggiora. In linea di massima ogni punto di PIL in meno obbliga a fare una manovra aggiuntiva di 8 miliardi di Euro. Il che significa una manovra aggiuntiva tra i 16 e i 24 miliardi di euro per il 2012.
Inoltre, nonostante tutti i proclami di avvenuto risanamento, il tasso di interesse sui BTP rimane superiore al 7%. Nella manovra economica di Monti hanno stimato che il tasso d’interesse fosse al 5,8% nel 2012 con una spesa per interessi di 94,2 miliardi. Se i tassi si manterranno al 7% la spesa per interessi diventerà di circa 112 miliardi di Euro. Con un ulteriore aggravio per 17,8 miliardi di euro. E non è finita. Il nuovo trattato europeo “fiscal compact”, che verrà discusso alla fine di gennaio per essere firmato a marzo prevede, oltre a un rapporto deficit/PIL massimo dello -0,5% annuo, che ci sia un rientro verso il rapporto debito/PIL del 60% con una progressione di un ventesimo l’anno. Per l’Italia, che ha un rapporto debito/PIL del 120% significa una manovra di 46 miliardi di euro per il 2012, altrimenti scatteranno le sanzioni automaticamente.
Insomma ci sarà obbligatoriamente una manovra per un ammontare tra i 20 e gli 87 miliardi di euro per il 2012, in un paese in recessione questo significa accentuare la recessione, dover fare un’altra manovra e finire in quella spirale recessiva da “tragedia greca” da cui non si esce. Questi fattori, noti a tutti gli operatori economici, sono quelli mantengono alto lo spread: se i mercati credessero davvero che l’Italia possa arrivare al pareggio di bilancio nel 2013 e possa tener fede al fiscal compact, lo spread sarebbe poco superiore allo zero. Non ci credono quelli che investono i soldi, guadagnandoci dalla crisi e non ci crediamo neanche noi, che della crisi paghiamo il conto. Insomma, aspettiamoci il peggio.
E nel massacro sociale che si prepara, aspettiamoci anche una svolta autoritaria. Ormai, quando anche le banche non escludono la possibile uscita dall’euro, la paura del default potrebbe non bastare, a un governo che non ha il consenso sociale, per imporre questi sacrifici.
Ricordiamoci che, in questi casi, fa molto comodo un “nemico interno”: il clandestino, la criminalità, il terrorismo, gli anarchici.

Fricche
 
Fonte: Umanità Nova